5 capolavori da non perdere ai Musei

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5 capolavori da non perdere ai Musei

5 capolavori dal quattrocento al settecento, da ammirare nelle sale di Palazzo Mosca – Musei Civici.

Beata Michelina Metelli di Jacobello del Fiore (Venezia 1380 circa – 1439 circa)
Un’opera affascinante, eseguita intorno al 1410, in cui si combinano elementi pittorici e scultorei.
La ricercatezza compositiva, l’eleganza dei movimenti delle figure e l’accurato studio dei particolari, appartengono alla sensibilità tardogotica che percorre la cultura figurativa del primo quattrocento in tutta l’area adriatica.
L’opera, proveniente da Venezia, ornava la cappella omonima nella chiesa di San Francesco a Pesaro, dove si trova ancora la tomba della terziaria francescana venerata fin dalla sua morte nel 1356.

 

Incoronazione della Vergine di Giovanni Bellini (Venezia 1430/35 – 1516)
La maestosa pala eseguita intorno al 1475 è uno dei capolavori indiscussi del Rinascimento.
Dipinta anch’essa per la chiesa pesarese di San Francesco, viene realizzata a Venezia e, sin dal suo arrivo a Pesaro, diviene subito oggetto di devozione da parte dei fedeli. La tavola raffigura la Vergine in trono, mentre viene incoronata da Gesù assistito dai santi Pietro e Paolo a sinistra, Gerolamo e Francesco a destra; alle spalle una finestra lascia intravedere una realistica immagine di paesaggio, con una rocca, un vero e proprio quadro nel quadro. Incorniciata da pilastrini con due file di santi, la scena centrale suggerisce una immobilità eterna, mentre il racconto diventa dinamico e quasi teatrale della predella in basso, con le vivacissime storie agiografiche.
L’opera viene portata a Parigi dalle truppe napoleoniche nel 1797 come bottino di guerra e poi restituita al governo pontificio grazie alla mediazione di Antonio Canova. Smembrata e rimandata a Pesaro via mare, viene privata del pannello in alto raffigurante l’imbalsamazione di Cristo, trattenuto per la collezione della neo-istituita Pinacoteca Vaticana.

 

La caduta dei giganti di Guido Reni (Bologna 1575 – 1642)
Grande dipinto del 1637, in cui la compostezza figurativa tipica dell’artista lascia il posto ad una composizione dai movimenti vigorosi e dai tratti violenti, destinata a rievocare il mitico scontro fra i giganti figli della terra e le divinità dell’Olimpo. Colpiti dall’ira di Zeus, i giganti cadono travolti da massi enormi.
La scena è impostata secondo una prospettiva ardita che fa pensare alla decorazione di un soffitto, probabilmente in una residenza privata. L’opera è giunta a Pesaro con la collezione bolognese degli Hercolani acquisita dai musei grazie all’eredità di Gioachino Rossini
Più degli altri grandi pittori bolognesi del seicento, Guido Reni rappresenta un modello fondamentale per la cultura figurativa pesarese di quel periodo. Un’influenza determinante per gli artisti locali, tra cui il giovane Simone Cantarini.

 

Maddalena penitente di Simone Cantarini (Pesaro 1612 – Verona 1648)
Cantarini si allontanerà da Guido Reni per dissapori personali, ma a lui deve la formazione agli stilemi classicisti. L’opera, intrisa di spirito devozionale, venne realizzata intorno al 1644-46, insieme ad un’altra tela raffigurante San Giuseppe, per l’oratorio di San Filippo Neri a Pesaro, oggi non più esistente.
In pieno clima di controriforma, i due dipinti riflettono l’atteggiamento “penitente” diffuso tra le congregazioni religiose e i fedeli pesaresi.

 


Trinità con la Madonna di Giannandrea Lazzarini
(Pesaro 1710 – 1801)
Realizzata per l’altare della Chiesa della Santissima Trinità dell’Ospedale nel 1759, l’opera è pensata per i fedeli sofferenti e presenta un’elaborata impostazione devozionale in cui, oltre alla Trinità, trovano spazio il tema iconografico della deposizione e quello della cacciata di Adamo ed Eva.
L’abate Lazzarini è uno dei più interessanti esponenti della cultura pesarese nel settecento: pittore, architetto, teorico dell’arte, critico, poeta e teologo, incarna in maniera esemplare la figura dell’erudito. Era amico e collaboratore degli studiosi Giovan Battista Passeri e Annibale degli Abbati Olivieri, e con essi esponente del classicismo accademico che caratterizza la produzione culturale del periodo.